Un sorriso come quello di Armando Turbati dovrebbe essere obbligatorio all’interno di qualsiasi spogliatoio, di qualsiasi gruppo: ragazzo solare, disponibile, abituato a pensare positivo e a gettare il cuore oltre l’ostacolo. Lo Sporting Club Quinto quel sorriso se l’è goduto a lungo, fra gioie (tante) e amarezze (poche). Ma quella di sabato alle Piscine di Albaro (fischio d’inizio alle 18) contro il Reale Mutua Torino ’81 Iren, valida per la penultima giornata di serie A1, sarà la sua ultima partita in carriera. E il motivo di questa scelta è il più dolce possibile.
Armando, come arriva la decisione di appendere la calottina al chiodo a soli trent’anni?
“Sono sempre stato dell’idea che sia necessario dare il 101 per cento in tutto quello che si fa, altrimenti è meglio non farlo. Tra qualche giorno diventerò papà del mio primogenito, Leone, e per rispetto di questo atteggiamento, che ho sempre tenuto, non vorrei… trascinarmi, arrivare svogliato agli allenamenti, non riuscire a dare tutto me stesso. Eppoi vorrei avere più tempo per godermi mio figlio. Oltre a questo il mio lavoro da personal trainer sta andando piuttosto bene, mi assorbe molte energie e vorrei implementarlo con un percorso di studi che mi possa qualificare maggiormente anche come esperto di nutrizione“.
Quali sentimenti hanno accompagnato questa decisione?
“Tanti, davvero. C’è un po’ di tristezza se penso al fatto che non scenderò più in acqua, che dovrò rinunciare ad una valvola di sfogo difficilmente sostituibile. E anche un po’ di malinconia, come è normale che sia, se penso a qualche occasione persa nella mia carriera o a qualche partita andata male che mi è rimasta sul groppone. Nessun rimpianto però: non sono mai stato un giocatore da cinquanta gol a campionato, ma ho la coscienza a posto perché ho sempre dato tutto me stesso. Non mi fa piacere neanche lasciare un Quinto retrocesso, ma mi conforta sapere che la nostra è una società in continua crescita, che sa guardare al futuro nonostante i risultati quest’anno non siano andati per il verso giusto“.
In questi casi i ringraziamenti sono d’obbligo…
“Sì, anzitutto a mamma Fernanda e a papà Rinaldo. Mi hanno accompagnato ovunque, in qualsiasi piscina. E non perché volevano avere a tutti i costi un figlio campione: lo hanno fatto per puro piacere. Ricordo che una volta ero a Barcellona per un allenamento con la Nazionale giovanile e li avevo intravisti a bordo vasca: erano lì per farmi una sorpresa. Non dimentico i primi tecnici come Alberto Bodrato, Piero Ivaldi e Gigi Burlando, poi ancora Simone Rigalza e Luca Giustolisi che ai tempi del Nervi mi hanno saputo infondere la giusta fiducia in un periodo in cui ero un po’ demotivato, per arrivare infine a Marco Paganuzzi, l’allenatore che ho avuto più a lungo e quello con cui ho avuto un rapporto da uomo a uomo“.
Dopo tutti questi anni in giro per piscine, consiglieresti a tuo figlio di intraprendere un simile percorso?
“Gli consiglierei qualsiasi sport, ma di certo qualche tuffo in piscina glielo farei fare. La pallanuoto assorbe tante energie e tanto tempo, ma ti regala valori e capacità che si trasformano in una marcia in più nella vita di tutti i giorni. Quello che mi piacerebbe trasmettergli è l’idea che solo lui può sapere quale è il suo limite e quale è la strada per raggiungerlo“.
La tua partita di addio coinciderà con la “festa” ideata dalla società per ringraziare i tifosi nonostante la retrocessione.
“Giusto che sia così, peraltro per me si chiude un cerchio perché il primo allenamento della mia vita si era svolto proprio nella vasca interna delle Piscine di Albaro. Credo che se esistesse una classifica delle piscine più gremite, colorate e vivaci avremmo vinto il campionato con largo anticipo. Grazie a tutti i tifosi e a chi si è dato da fare,a vario titolo, per far sì che questo fosse possibile. L’idea di salutare con un brindisi la serie A1 rispecchia la mentalità della società: vietato piangersi addosso, cercare alibi e giustificazioni. Si saluta un anno comunque di crescita e ci si prepara alla prossima stagione“.
Con Armando Turbati lontano dalla pallanuoto?
“No, non è un addio. Mi piacerebbe restare in questo ambiente, poter trasmettere ad altri quello che è stato insegnato a me. Ne parlerò con Marco e con la società a tempo debito“.
Foto di Paolo Zeggio
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