Ultimo turno nel campionato di serie A1: l’Iren Genova Quinto, già certo della salvezza visto l’importante successo maturato in casa del Catania, ospita sabato alle 18 alle Piscine di Albaro la Pro Recco. Sarà l’ultima partita per il difensore Giacomo Boero, che ha deciso di lasciare la pallanuoto giocata.
Come è maturata questa decisione?
“E’ stata una scelta dettata soprattutto dagli impegni di lavoro, che sono sempre più pressanti: giro in pratica in tutto il nord Italia, resto fuori casa più giorni alla settimana e quindi stare dietro agli allenamenti diventa sempre più difficile. Anche la famiglia ha bisogno dei suoi spazi e dei suoi tempi. Queste due motivazioni, abbinate, mi hanno portato a questa decisione. Anche fisicamente non riesco più a dare il cento per cento, sono stanco, e gli obiettivi della società sono giustamente ambiziosi: non voglio obbligare nessuno a tenermi per forza, né restare a mezzo servizio. Il Quinto ha bisogno di persone che si dedicano ai suoi obiettivi mettendo tutte le energie: io non riesco più”.
E’ stata una scelta sofferta?
“Sì, però ho giocato più di dieci anni fra serie A1 e serie A2, mi sono tolto tutte le soddisfazioni che dovevo togliermi. Sono contento di quello che è successo. Avevo meditato di smettere già l’anno scorso, al termine dei play off. Però speravo di poter fare ancora un anno in serie A1 insieme a Marco Paganuzzi, poi quando è successo quello che è successo per me è stata come la mazzata finale. Avevo deciso di chiudere alla grande, con la salvezza, e poi smettere. E’ andata così. Sono orgoglioso di lasciare il Quinto in questa posizione, era il mio obiettivo. Dodici anni fa una delle mie prime partite era stata contro la Pro Recco, sabato si chiuderà un cerchio, in serie A1. Un traguardo che dedico a Marco. Lasciare con una retrocessione mi avrebbe dato fastidio”.
Che cosa ti lascia questo sport nella vita di tutti i giorni?
“Mi ha insegnato il sacrificio, il lavoro costante, la regolarità degli impegni, il non mollare mai anche nei momenti in cui sembra che tutto vada storto, la puntualità. Ancora, la voglia di reagire subito senza lasciarsi sopraffare dai problemi che possono nascere. Ho imparato a stare in gruppo, a vivere e convivere con gli adulti, a essere rispettoso di allenatori, dirigenti, dei compagni più grandi. Questo sport insegna valori antichi che ora si stanno perdendo: spero che mio figlio possa avere un percorso analogo”.
Ti piacerebbe continuare in questo sport in un’altra veste, magari da allenatore delle giovanili?
“Mi vedo più come un dirigente, ma non subito. Anche in questi ruoli infatti c’è bisogno di tempo e presenza, non si possono dedicare una o due ore alla settimana. C’è bisogno di gente che lo faccia e lo faccia bene, per non perdere iscritti e prestigio. Vedremo un domani. Per ora resto un tifoso”.
Che Quinto lasci, a parte la salvezza appena conquistata?
“Cresciuta e ambiziosa. Intendiamoci, come lo era anche quattro anni fa. Ma prima forse non aveva le idee chiare di che cosa sarebbe potuto succedere. Quando sono arrivato le prime idee erano “vediamo cosa succede”, “proviamo a fare sempre meglio”. Poi c’è stata la promozione in A1 del 2016 e lì abbiamo capito che avremmo potuto farcela. Paradossalmente ne è stata una conferma anche la retrocessione: siamo stati subito pronti a ripartire, lo sono stati i giocatori, i dirigenti, lo è stata l’organizzazione complessiva. C’è stata programmazione”.
A chi vanno i tuoi ringraziamenti?
“A papà Mario e mamma Giovanna, anzitutto. Mi hanno supportato e sopportato fin da piccolo, non hanno mai calcato la mano e mi hanno sempre appoggiato. Mia moglie Giada e mio figlio Ettore, che hanno fatto altrettanto, mi hanno dato forza e sono anche loro dovuti scendere a compromessi per via di tutti questi impegni. Poi penso a Marco, che mi ha preso in un momento in cui ero in declino e ha creduto nuovamente in me facendomi fare quattro anni ad alto livello. Ringrazio il Bogliasco, società dove sono nato e cresciuto. Il mio cuore è diviso a metà: il mio tempo in biancoblù è stato di più ma quello a Quinto è stato più intenso. Ringrazio i miei primi allenatori, Sbolgi, Del Galdo, De Crescenzo, i giocatori cui mi sono ispirato come Mannai, Bettini, Magalotti, Deserti. E ancora Di Somma, Guidaldi. Ma anche il mio attuale capitano, Luca Bittarello: abbiamo condiviso gioie e dolori, ci stuzzichiamo come fossimo fratelli. Se negli ultimi anni mi sono legato così al Quinto è perché lui mi ha trasmesso questo amore. Gli auguro una carriera ad altissimi livelli”.
Che giudizio hai di questo campionato che si sta chiudendo?
“E’ stato l’anno più lungo e faticoso che ricordi. Un mixi di emozioni, di tristezza, euforia, gioia. Grazie a Gabriele Luccianti e a tutti i miei compagni di squadra: come ultimo anno è stato davvero fantastico”.
Hai qualche rimpianto?
“…No”.
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