In attesa che gli allenamenti riprendano in maniera ufficiale, con tutti gli effettivi a disposizione del tecnico Gabriele Luccianti, in questi giorni diversi atleti della prima squadra sono già tornati a fare sul serio, in acqua e in palestra. Con una ‘sorpresa’ non da poco a bordo vasca, dove c’era anche Umberto Panerai, papà di Federico, il mancino arrivato in biancorosso quest’estate, e uno dei più grandi portieri della storia della pallanuoto italiana, vincitore di due scudetti con la calottina della Rari Nantes Florentia e medaglia d’argento alle Olimpiadi di Montreal, nel 1976, protagonista non solo con l’acqua clorata. In questi giorni ha lavorato a tu per tu con i portieri dell’Iren Genova Quinto, e in particolare con Pierre Pellegrini, il primo giocatore biancorosso a essere convocato con la Nazionale maggiore italiana.
Umberto, come sono nati questi giorni di allenamenti alle Piscine di Albaro?
“Anzitutto devo dire che per me è stato davvero un piacere enorme, per un sacco di motivi. Conoscevo Pierre, ma anche Mario Guidi e Filippo Gavazzi e chiaramente Gabriele Luccianti, l’ho allenato a Firenze nel 1992 e poi negli ultimi due-tre anni ci siamo riavvicinati, in particolare negli ultimi mesi, visto che dal 1 aprile sono in pensione. Prima ci eravamo un po’ allontanato perché la mia storia lavorativa mi aveva portato lontano dalla pallanuoto, mi sono occupato della preparazione dell’equipaggio di Luna Rossa per conto di Prada, per la quale sono stati poi responsabile dei servizi generali e quindi della tutela del patrimonio aziendale”.
In questo modo si riallacciano i legami con questo mondo, allora.
“Sì, in realtà già l’anno scorso mi ero occupato per la Federazione della preparazione dei portieri per l’Under 15. Poi la mia attenzione è stata catturata da alcuni video che mi ha fatto vedere un amico che allena in Australia: in questi video c’era un tale che dava consigli ai portieri su come allenarsi, come preparasi. Ecco, secondo me quei consigli non solo erano inutili, ma erano anche dannosi. E allora mi sono detto: devo fare qualcosa di simile, ma fatto bene”.
Con che obiettivi e che risultati?
“Non pretendo di avere la verità in tasca, mi piace confrontarmi a lungo con le persone, mostrare le mie idee, farle provare. È chiaro, ci deve essere una base di fiducia nei miei confronti, io spiego il mio punto di vista poi uno può decidere di adottarlo o no, o se adottarlo in parte. Magari su dieci idee, ne vengono bene cinque. Ma va bene così”.
Come è andata in questi giorni con Pierre?
“Credo che si sia divertito e che stia pensando di adottare alcune soluzioni per gli allenamenti e alcune modifiche nel suo modo di parare. Quello che ha fatto finora è frutto del suo talento, delle sue doti naturali. Sono convinto che se riuscirà a modificare alcune piccole cose e trovare una motivazione costante per continuare ad allenarsi in questo modo si potrà togliere grandi, grandissime soddisfazioni. È stato attento, aperto e disponibile ad ascoltare, lui come anche il preparatore atletico Armando Turbati: credo sia indice di grande professionalità, che non sempre si trova”.
Che idea si è fatto della squadra allestita dall’Iren Genova Quinto?
“Domanda difficilissima. Se togliamo Pro Recco, Brescia, Ortigia e anche il Trieste, perché con quella rosa deve arrivare quarto se non terzo, credo che poi ci siano un gruppo di squadre – come il Quinto, il Savona, il Metanopoli – che hanno validi giocatori e bravi allenatori. La differenza la farà la compattezza del gruppo e credo che questa possa essere un’arma in più proprio per il Quinto. A me è capitato più volte di giocare in squadre tecnicamente più scarse di altre, ma riuscivamo a sopperire con la motivazione e la determinazione, qualità indispensabili soprattutto in una squadra giovane come questa. Bisognerà sfruttare al massimo ogni allenamento, quasi come se fosse una partita, per arrivare al sabato preparati e concentrati”.
Si aspettava che Luccianti diventasse allenatore e ottenesse, nei primi tre anni in panchina, una promozione in A1 e di fatto due salvezze consecutive?
“Difficile dirlo, stiamo parlando di più di venti anni fa. Però a Firenze si è formata una certa scuola, imperniata su valori e comportamenti, che credo abbia influiti anche su Gabriele. Ricordo che Zabberoni mi diceva: ‘Giochi in porta? Ogni gol che prendi è come se uno ti sputasse in faccia’. Ecco, se partiamo da questo concetto si capisce come alcune cose si siano interiorizzate, a partire dal tenere sempre alta la concentrazione: vale per i portieri come per tutti gli altri giocatori”.
La vedremo ad Albaro in occasione delle partite casalinghe?
“Se ci sarà la possibilità di farlo, senz’altro. Fra gli altri motivi per esserci, anche la voglia di vedere mio figlio giocare e salutarlo”.
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