Allegria!, amava ripete Mike Bongiorno. L’allegria è senz’altro uno degli ingredienti che ha contribuito a rendere immensa la carriera di Guillermo Molina, per tutti Willy, che mercoledì sera a Bologna ha chiuso con la pallanuoto giocata a quarant’anni. Allegria, quindi, ma anche entusiasmo, passione, voglia di fare, talento e il fisico adatto per certi palcoscenici: ecco il mix che ha portato ad un palmares incredibile e all’affetto di tutti, compagni di squadra, tifosi e anche avversari. Con il suo addio alla pallanuoto giocata, questo sport perde un pezzetto della sua storia recente.
Willy, partiamo dalla fine: triplice fischio di De Akker-Iren Quinto, biancorossi al quinto posto in A1 e in Europa, per te applausi dai tuoi compagni, dagli avversari e dai tifosi. Te lo aspettavi così il tuo saluto?
“Devo dire la verità, prima della partita ero molto emozionato. Ma ero anche felice, per niente triste. Mi ha fatto piacere chiudere la carriera nell’Iren Genova Quinto, con un gruppo eccezionale di persone. E certo, anche gli applausi degli avversari sono stati speciali, in fin dei conti c’erano anche loro in quel momento così speciale”.
Lasci con l’Iren Genova Quinto nel punto più alto della sua storia: quinto posto in serie A1 e in Coppa Italia, qualificazione europea in tasca.
“Quando sono arrivato due anni fa ho trovato una società seria e organizzata, ma cosa più importante composta da belle persone, con cui è stato un piacere lavorare. Avevo notato subito grande entusiasmo e voglia di fare bene, li lascio con le stesse motivazioni e la stessa mentalità che ha portato a questi risultati”.
Riavvolgiamo il nastro della tua straordinaria carriera. Quale è stato il momento più alto?
“L’apice è stato fra il 2007 e il 2012, soprattutto a livello fisico e di espressione del mio talento. Dal 2012 in poi mi sono un po’ trasformato, sono diventato un giocatore più esperto, maturo, volendo anche continuo. Prima andavo più… a fiammate, diciamo”.
E che pallanuoto lasci?
“Ho buone sensazioni, credo che stiano emergendo più talenti rispetto agli anni precedenti, forse è anche merito delle nuove regole”.
Se dovessi convincere un ragazzino alle prime armi a cimentarsi con questo sport, fatto di grandi sacrifici, che cosa gli diresti?
“Gli augurerei di trovare un allenatore empatico, che sappia trasmettere il fatto che tutti quei sacrifici, che in effetti ci sono, si trasformano poi in gioie enormi, il lavoro viene sempre ripagato. Credo che questa debba essere la base da cui partire, ancora più che dalle capacità tecniche e dagli allenamenti”.
C’è un aneddoto della tua carriera che non hai mai raccontato? È giunto il momento di farlo…
“Non ho una gran memoria, ma sono un pasticcione. E allora ne racconto uno di mercoledì sera. Ero vicino alla panchina e accanto avevo Roberto Ravina. Mi volto un secondo, poi mi rigiro e vedo un ragazzo, di spalle, con il costume rosso come il nostro. Pensando fosse Roberto gli do una pacca sul sedere, invece era uno dei corsi nuoto che stava parlando al cellulare e non capiva che cosa fosse successo. Ecco, figure del genere ne ho fatte diverse…”.
Perdonabili, direi. Qual è il segreto per giocare così a lungo?
“Non posso dire di essere stato l’atleta perfetto. Ho avuto diversi sbalzi fisici, sono ingrassato, poi dimagrito, poi ingrassato di nuovo. A fare la differenza è stata la passione che nutro per questo sport, sconfinata”.
E adesso, che cosa vuoi fare da grande?
“Farò l’allenatore, sto chiudendo in tal senso”.
Con che modelli?
“Nella mia carriera ho avuto tanti maestri in panchina, prenderò un po’ da ognuno di questi ma poi metterò anche del mio, voglio sperimentare cose nuove”.
Qualche ringraziamento da fare?
“Al Quinto, dalla dirigenza in giù. Non avrei potuto sperare di chiudere la mia carriera in modo migliore. Lascio una famiglia, ma spero che i contatti rimarranno sempre aperti”.
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